"Secondo una tradizione popolare nel corso del XVIII secolo uno degli ultimi esponenti della famiglia Corvo-De Corvis avrebbe cercato di ripristinare lo Ius primae noctis (diritto di un signore feudale di trascorrere, in occasione del matrimonio di un proprio servo della gleba, la prima notte di nozze con la sposa) . Ciò avrebbe naturalmente suscitato una ribellione tra i suoi sudditi, e uno sposo, non disposto a cedere alla barbara usanza, mascheratosi da donna si sarebbe nottetempo introdotto nel Castello e sostituito alla consorte, uccidendo il feudatario."
Nel 1045 i Normanni dopo aver cacciato i Bizantini e i
Saraceni si spinsero verso l’Abruzzo. Nel 1061 la contea di Teate subì una
divisione con le terre a sud di lei, i Normanni costituirono la contea di
Manoppello ponendovi il conte Guglielmo, ed esso comprendeva 15 feudi e tra
questi vi era anche Roccascalegna. Allora (Roccam Scaragnam) era composto da 24
fuochi (famiglie).Nella seconda metà del XIII secolo, fu costruito il castello
ma rimane incerta la data della sua
completa costruzione. La leggenda, senza alcun fondamento semantico, il fatto
che in antico vi fosse una scala per entrare nella torre, e che, lo stesso
stemma comunale abbia come rappresentazione una scala appoggiata alla Torre.
Il castello
Costruito su un gran masso roccioso, che al
lato nord-est cade a strapiombo sulle casupole dell’antico borgo medioevale, il
piccolo maniero ha più l’aspetto di una fortezza anziché di un vero e proprio
castello residenziale. Le sue mura perimetrali formano pressappoco la figura di
un rettangolo irregolare, dalle dimensioni medie circa di 80 x 35 metri.
L’entrata, esposta a ponente, di fronte
alla chiesa di S. Pietro, si raggiunge attraverso un erto sentiero di quasi 200
metri dal piazzale della chiesa, limitato a sinistra da un muretto di
protezione tutto in pietra, coperto di lastroni d’arenaria sovrapposti a
scaglia.
Subito dopo il portone d’ingresso ci sono
pochi gradini che portano ad un piccolo spiazzo pianeggiante con pavimento
originale in mattoni verticali, denominato a spina di pesce.
A sinistra c’è la porta della camera da
letto del barone con alla sommità dell’arco un cuore scolpito sulla pietra. La
camera, consistente in uno stanzone grande quanto la torre semicircolare dove
sarebbe stato ucciso il feudatario Corvo De Corvis, non più esistente in quanto
crollata con la torre stessa il 27 gennaio 1940.
Andando più avanti, tra viuzze e muretti
immersi in una selvatica vegetazione, s’incontra la porta dell’antica cappella
del castello sul cui architrave in pietra si legge “Venite, Adorate”.
Più oltre si notano altri locali compresi
nelle due torri a semicerchio poggiate, come la prima già crollata, su un
lastrone di roccia scoscesa. Salendo per un viottolo a zigzag si giunge alla
torretta merlata, posta sullo sperone del masso roccioso. Essa è a tre piani
con una finestra per ogni facciata e delle feritoie negli angoli. Il piano
sottostante ai merli è decorato con piccole aperture di forma quadrata.
Tornando giù e guardando a sinistra si
notano pezzi di muro diroccato, e arrivando nei pressi dell’ingresso si può
osservare un torrione rotondo con apertura circolare rivolta sulla stradina
d’accesso. Secondo Cesare De Laurentiis la sua costruzione risale al 1266, con
l’avvento degli Angioini nel Regno di Napoli, in quanto Roccascalegna divenne
allora domicilio fisso del Gualtieri.
Il Faraglia ci conferma pressappoco questa
data (1266). Nella conclusione dei suoi “Studi storici delle cose abruzzesi”
dice fra l’altro: nelle cedole delle generalesse sovvenzioni del 1300
incontriamo una nuova divisione delle terre teatine, gli si assegnò il nome
Thete maiori alla regione che si estende da Ortona al fiume Trigno, quello di
Thete minori alla restante fino a Pescara.
Gradonata d’accesso al Castello
e ponte levatoio:
La gradonata d’accesso
che si percorre oggi è la stessa sistemata dopo il 1705 e così anche il
relativo muro di protezione. Prima di allora la scalinata era costituita da
gradini, ricavati nella roccia viva con lo scalpello, e portava fino al ponte
levatoio. Cominciando a percorrere la gradonata sovrapposta a quest’antico
itinerario si può osservare nella torre di sentinella, in alto a destra, il
foro da cui era tenuto sotto sorveglianza con le armi da fuoco (vedi foto pg.
4. La formazione della gradonata avviene nell’epoca di passaggio del feudo dai
“ Corvis “ ai “ Nanni”, intorno al 1717. La sua realizzazione in forme più che
militari, conferma e forse accentua i caratteri di una struttura di un percorso
utilizzabile anche per il transito d’animali da sella. La costruzione della
gradonata fu accompagnata dall’eliminazione del ponte levatoio e della
costruzione di una garitta d’ingresso proprio all’interno dello spazio occupato
dal “fossato”.
Il restauro del muro di protezione della
scala è avvenuto con il ripristino di piccole parti crollate, con la listatura
delle facciate e con la ricostruzione della “copertina” superiore nelle parti
dove mancavano le lastre d’arenaria precipitate a valle negli ultimi tempi, più
a causa del vandalismo che delle intemperie.
TORRE DEL CARCERE
E’
forse da ritenersi, dopo la Torretta, il manufatto più interessante. Costruita
verosimilmente dopo la morte di Alfonso Annecchino (1514) di cui resta
un’epigrafe sulla piattabanda esterna della finestra esposta ad ovest (ALFONSVS
ANECHINVS), ha assunto il nome di Torre del Carcere “perché in essa è stata
ritrovata una catena usata come cavigliera” (Di Loreto); sono state
rinvenute anche tracce di un gabinetto e di un camino. All’esterno vi è una
gradinata che permette di raggiungere il piano sottostante, di cui restano
travature del solaio; da qui p possibile scorgere un’ulteriore gradinata lungo
la muratura, spessa circa tre metri, che permetteva di scendere al piano base.
All’esterno
sulla muratura, tracce della merlatura, precedente alla costruzione della
Torre.
LEGGENDA:
Dopo Gualtieri, il castello fu dimora di
sua figlia, la contessa Tommasa, alla quale la tradizione attribuisce l’idea di
far edificare la chiesa di San Pietro Apostolo, sempre sul costone della
roccia, all’inizio della salita del castello.
Poi vennero tanti altri conti e baroni, in
questa piccola rocca, residenti e non, per raccogliere i frutti delle proprie
terre e abusare dei loro poteri. I fatti di un certo interesse accaduti fra
queste mura furono quelli del 1647, che sfociò nell’uccisione del barone Corvo,
responsabile di aver introdotto nel feudo lo Jus primae noctis e l’idolatria
del corvo; e quelli 1800, quando divenne rifugio degli abitanti del paese
essendo stati assediati e assaliti da quelli d’Altino, Casoli e Gessopalena per
motivi di confini.
Durante
la repressione del brigantaggio postunitario fu sede della Guardia Nazionale.
Durante 2a guerra mondiale, nel periodo del fronte (1943-44) fu
posto in vedetta, prima dei tedeschi e poi degli inglesi. Gli ultimi
proprietari del castello furono il Nanni Croce di Palena, i quali nel 1981 lo
donarono al Comune. Il castello oggi spazio espositivo per incontri e
manifestazioni culturali anche all’aperto, è tornato alla vita dopo i restauri
ultimati nel 1996.
L'espressione
Ius primae noctis (dal latino, letteralmente diritto della prima notte)
indicherebbe il diritto di un signore feudale di
trascorrere, in occasione del matrimonio di un proprio servo
della gleba, la prima notte di
nozze con la sposa.
Se
e quanto lo ius primae noctis fosse effettivamente diffuso, e in quale misura i
signori feudali ne facessero uso, è stato argomento molto discusso.
Secondo
la visione che si affermò nell'età moderna, il servo
della gleba era legato alla
proprietà padronale, e per sposarsi aveva bisogno dell'autorizzazione da parte
del signore. Per ottenerla era costretto talvolta a una sorta di tributo. La massima espressione di questo stato di
subordinazione sarebbe stata la concessione della propria moglie al proprietario terriero per la prima notte di nozze.
Tale
diritto viene occasionalmente citato in documenti medievali ,,sol der brütgam
den meier bi sinem wip ligen laßen die erste nacht oder er si lösen mit 5 sh. 4
pf.“ (lo sposo deve lasciare che il signore giaccia la prima notte di nozze con
la sua sposa, o affrancarla con 5
scellini e 4 pfennig). Cosa
confermata dalle tradizioni popolari secondo le quali il servo aveva la
possibilità di reclamare la propria sposa per sé pagando una certa somma.
ù