giovedì 14 marzo 2013

Roccacasale


Roccacasale... La collina delle Fate

Roccacasale è posto sotto le Monte Morrone nel cuore della Valle Peligna in provincia de L’Aquila. Su di un poggio che domina il paese si erge ieratico un suggestivo maniero costruito intorno al XI secolo con funzione difensiva, divenuto poi presidio di soldati ed infine castello baronale.

Pare che i primi abitanti della zona siano stati gli Italici e questo è confermato da delle Mura Ciclopiche e da un centro fortificato situato nella zona chiamata “Colle delle fate” non lontano dal paese, dove è stata anche ritrovata una statuetta in pietra che riproduce la dea Madre Mediterranea.


Si racconta che all’interno del Colle delle Fate vi sia celato un castello incantato ove risiedono le fate che per uscire si servono di un pozzo situato all’interno del cortile del castello di Roccacasale. Si dice che tutte le donne di questo paese hanno facoltà divinatorie.

 

Roccacasale è un comune di 713 abitanti della provincia dell'Aquila  in Abruzzo

È un centro montano della Valle Peligna nel centro dell' Appennino Abruzzese , arroccato sulle pendici del Monte della Rocca . Il centro, costruito sulla nuda roccia, si estende verso la valle sottostante godendo di una posizione assolata. La parte più alta del paese, cioè l'antico borgo, presenta le strade interne tracciate in senso radiale, con centro il castello, aventi l'aspetto di rampe o gradinate intervallate da passaggi trasversali pianeggianti.seguito alla costruzione del Castello, il centro abitativo ha assunto con il passare del tempo la tipica struttura chiusa del borgo medievale. Il castello formava un tutt'uno con le abitazioni e l'intero complesso era accessibile da quattro porte di cui è ancora evidente la presenza anche se, con i secoli, il paese si è sviluppato fortemente al di fuori dell'antico insediamento, snaturando il primitivo perimetro e la primitiva struttura urbanistica, di cui si hanno ancora palesi tracce. La parte più alta del paese, che ospita l'antico borgo, presenta le strade interne tracciate in senso radiale, con centro il castello, aventi l'aspetto di rampe o gradinate intervallate da passaggi trasversali pianeggianti.

 

 

 LA LEGGENDA:


Sembra ormai accertato che, attorno ad un centro maggiore per dimensaione ed importanza (identificato sul colle Mitra tra Pettorano e Cansano), si sviluppò in età preromana una serie di centri minori sulle alture circostanti la valle. Percorrendo una mulattiera che parte dal paese di Roccacasale si raggiunge, in circa 40 minuti di cammino, l’altura di Colle delle Fate

(Si racconta che le Fate appartengano al “Regno di Mezzo”, dove sono collocati anche gli angeli caduti, che per la loro natura, non troppo cattiva ma neanche tanto buona, sono obbligate a vivere nelle zone crepuscolari che non sono propriamente l’inferno.  La leggenda vuole che le Fate venivano anche invitate ad un banchetto speciale tutto per loro, infatti alla nascita di un nuovo figlio, si allestisce all’interno della casa, il “banchetto delle Fate”, per far notare il nascituro e sperare nella loro protezione.

Non sempre i racconti sono cosi color di rosa, si narra infatti che nell’epoca del ’900 circa, le donne  dovessero prestare la massima attenzione ai propri neonati, senza perderli di vista, molto spesso infatti di ritorno dal faticoso lavoro nei campi le madri trovavano le piccole creature piangenti e spostati dalla propria culla, con ecchimosi sul corpo...a volte si trasformavano in animali riluttanti, come topi o lucertole altre volte invece erano destinati alla morte. Per evitare ciò si consultava una fata o, a seconda dei punti di vista, una strega, la quale con opportuni rituali“salvava” la vita del bambino!! Una di queste magiche creature viveva appena ai piedi della rocca del Castello di Roccascalegna ed era molto ben voluta ed apprezzata!Se si vedevano nei boschi una serie di funghi disposti a cerchio, era proibito infilare mani o piedi, perchè quello è il posto preferito dalle Fate per danzare e chiunque penetri questo luogo, ne rimarrà intrappolato e risucchiato.



 

martedì 5 marzo 2013

Roccascalegna

 
"Secondo una tradizione popolare nel corso del XVIII secolo uno degli ultimi esponenti della famiglia Corvo-De Corvis  avrebbe cercato di ripristinare lo Ius primae noctis (diritto di un signore feudale di trascorrere, in occasione del matrimonio di un proprio servo della gleba, la prima notte di nozze con la sposa) . Ciò avrebbe naturalmente suscitato una ribellione tra i suoi sudditi, e uno sposo, non disposto a cedere alla barbara usanza, mascheratosi da donna si sarebbe nottetempo introdotto nel Castello e sostituito alla consorte, uccidendo il feudatario."



Nel 1045 i Normanni dopo aver cacciato i Bizantini e i Saraceni si spinsero verso l’Abruzzo. Nel 1061 la contea di Teate subì una divisione con le terre a sud di lei, i Normanni costituirono la contea di Manoppello ponendovi il conte Guglielmo, ed esso comprendeva 15 feudi e tra questi vi era anche Roccascalegna. Allora (Roccam Scaragnam) era composto da 24 fuochi (famiglie).Nella seconda metà del XIII secolo, fu costruito il castello ma rimane  incerta la data della sua completa costruzione. La leggenda, senza alcun fondamento semantico, il fatto che in antico vi fosse una scala per entrare nella torre, e che, lo stesso stemma comunale abbia come rappresentazione una scala appoggiata alla Torre.
 
 
 
Il castello
Costruito su un gran masso roccioso, che al lato nord-est cade a strapiombo sulle casupole dell’antico borgo medioevale, il piccolo maniero ha più l’aspetto di una fortezza anziché di un vero e proprio castello residenziale. Le sue mura perimetrali formano pressappoco la figura di un rettangolo irregolare, dalle dimensioni medie circa di 80 x 35 metri.
L’entrata, esposta a ponente, di fronte alla chiesa di S. Pietro, si raggiunge attraverso un erto sentiero di quasi 200 metri dal piazzale della chiesa, limitato a sinistra da un muretto di protezione tutto in pietra, coperto di lastroni d’arenaria sovrapposti a scaglia.
 
Subito dopo il portone d’ingresso ci sono pochi gradini che portano ad un piccolo spiazzo pianeggiante con pavimento originale in mattoni verticali, denominato a spina di pesce.
A sinistra c’è la porta della camera da letto del barone con alla sommità dell’arco un cuore scolpito sulla pietra. La camera, consistente in uno stanzone grande quanto la torre semicircolare dove sarebbe stato ucciso il feudatario Corvo De Corvis, non più esistente in quanto crollata con la torre stessa il 27 gennaio 1940.
Andando più avanti, tra viuzze e muretti immersi in una selvatica vegetazione, s’incontra la porta dell’antica cappella del castello sul cui architrave in pietra si legge “Venite, Adorate”.
Più oltre si notano altri locali compresi nelle due torri a semicerchio poggiate, come la prima già crollata, su un lastrone di roccia scoscesa. Salendo per un viottolo a zigzag si giunge alla torretta merlata, posta sullo sperone del masso roccioso. Essa è a tre piani con una finestra per ogni facciata e delle feritoie negli angoli. Il piano sottostante ai merli è decorato con piccole aperture di forma quadrata.
 
Tornando giù e guardando a sinistra si notano pezzi di muro diroccato, e arrivando nei pressi dell’ingresso si può osservare un torrione rotondo con apertura circolare rivolta sulla stradina d’accesso. Secondo Cesare De Laurentiis la sua costruzione risale al 1266, con l’avvento degli Angioini nel Regno di Napoli, in quanto Roccascalegna divenne allora domicilio fisso del Gualtieri.
 
Il Faraglia ci conferma pressappoco questa data (1266). Nella conclusione dei suoi “Studi storici delle cose abruzzesi” dice fra l’altro: nelle cedole delle generalesse sovvenzioni del 1300 incontriamo una nuova divisione delle terre teatine, gli si assegnò il nome Thete maiori alla regione che si estende da Ortona al fiume Trigno, quello di Thete minori alla restante fino a Pescara.
 
Gradonata d’accesso al Castello e ponte levatoio:
 
La gradonata d’accesso che si percorre oggi è la stessa sistemata dopo il 1705 e così anche il relativo muro di protezione. Prima di allora la scalinata era costituita da gradini, ricavati nella roccia viva con lo scalpello, e portava fino al ponte levatoio. Cominciando a percorrere la gradonata sovrapposta a quest’antico itinerario si può osservare nella torre di sentinella, in alto a destra, il foro da cui era tenuto sotto sorveglianza con le armi da fuoco (vedi foto pg. 4. La formazione della gradonata avviene nell’epoca di passaggio del feudo dai “ Corvis “ ai “ Nanni”, intorno al 1717. La sua realizzazione in forme più che militari, conferma e forse accentua i caratteri di una struttura di un percorso utilizzabile anche per il transito d’animali da sella. La costruzione della gradonata fu accompagnata dall’eliminazione del ponte levatoio e della costruzione di una garitta d’ingresso proprio all’interno dello spazio occupato dal “fossato”.
 
Il restauro del muro di protezione della scala è avvenuto con il ripristino di piccole parti crollate, con la listatura delle facciate e con la ricostruzione della “copertina” superiore nelle parti dove mancavano le lastre d’arenaria precipitate a valle negli ultimi tempi, più a causa del vandalismo che delle intemperie. 
 
TORRE DEL CARCERE
 
E’ forse da ritenersi, dopo la Torretta, il manufatto più interessante. Costruita verosimilmente dopo la morte di Alfonso Annecchino (1514) di cui resta un’epigrafe sulla piattabanda esterna della finestra esposta ad ovest (ALFONSVS ANECHINVS), ha assunto il nome di Torre del Carcere “perché in essa è stata ritrovata una catena usata come cavigliera” (Di Loreto); sono state rinvenute anche tracce di un gabinetto e di un camino. All’esterno vi è una gradinata che permette di raggiungere il piano sottostante, di cui restano travature del solaio; da qui p possibile scorgere un’ulteriore gradinata lungo la muratura, spessa circa tre metri, che permetteva di scendere al piano base.
 
All’esterno sulla muratura, tracce della merlatura, precedente alla costruzione della Torre.
 
 
LEGGENDA:
 
Dopo Gualtieri, il castello fu dimora di sua figlia, la contessa Tommasa, alla quale la tradizione attribuisce l’idea di far edificare la chiesa di San Pietro Apostolo, sempre sul costone della roccia, all’inizio della salita del castello.
 
Poi vennero tanti altri conti e baroni, in questa piccola rocca, residenti e non, per raccogliere i frutti delle proprie terre e abusare dei loro poteri. I fatti di un certo interesse accaduti fra queste mura furono quelli del 1647, che sfociò nell’uccisione del barone Corvo, responsabile di aver introdotto nel feudo lo Jus primae noctis e l’idolatria del corvo; e quelli 1800, quando divenne rifugio degli abitanti del paese essendo stati assediati e assaliti da quelli d’Altino, Casoli e Gessopalena per motivi di confini.
 
Durante la repressione del brigantaggio postunitario fu sede della Guardia Nazionale. Durante 2a guerra mondiale, nel periodo del fronte (1943-44) fu posto in vedetta, prima dei tedeschi e poi degli inglesi. Gli ultimi proprietari del castello furono il Nanni Croce di Palena, i quali nel 1981 lo donarono al Comune. Il castello oggi spazio espositivo per incontri e manifestazioni culturali anche all’aperto, è tornato alla vita dopo i restauri ultimati nel 1996.
 
L'espressione Ius primae noctis (dal latino, letteralmente diritto della prima notte) indicherebbe il diritto di un signore feudale di trascorrere, in occasione del matrimonio di un proprio servo della gleba, la prima notte di nozze con la sposa.
 
Se e quanto lo ius primae noctis fosse effettivamente diffuso, e in quale misura i signori feudali ne facessero uso, è stato argomento molto discusso.
 
Secondo la visione che si affermò nell'età moderna, il servo della gleba era legato alla proprietà padronale, e per sposarsi aveva bisogno dell'autorizzazione da parte del signore. Per ottenerla era costretto talvolta a una sorta di tributo. La massima espressione di questo stato di subordinazione sarebbe stata la concessione della propria moglie al proprietario terriero per la prima notte di nozze.
 
Tale diritto viene occasionalmente citato in documenti medievali ,,sol der brütgam den meier bi sinem wip ligen laßen die erste nacht oder er si lösen mit 5 sh. 4 pf.“ (lo sposo deve lasciare che il signore giaccia la prima notte di nozze con la sua sposa, o affrancarla con 5 scellini e 4 pfennig). Cosa confermata dalle tradizioni popolari secondo le quali il servo aveva la possibilità di reclamare la propria sposa per sé pagando una certa somma.


 

 

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